A colloquio con Guido Barilla, presidente della Fondazione Barilla e promotore del Protocollo di Milano.
Il Protocollo di Milano sull’alimentazione e la nutrizione è stato promosso dall’azienda alimentare Barilla e ha coinvolto oltre 40 partner mondiali, tra cui Wwf e Slow Food. Ora si appresta a raccogliere l’adesione anche degli Stati che saranno presenti a Expo Milano 2015. L’obiettivo più ambizioso, se non titanico, del Protocollo è di ridurre entro il 2020 lo spreco di cibo del 50%, che oggi ammonta a 1,3 miliardi di tonnellate all’anno. Perché, mentre più di 800 milioni di persone soffrono la fame, 1,5 miliardi si alimenta troppo.
Presidente Barilla, come fare per ridurre questo spreco per fornire l’accesso equo e permanente al cibo a tutte le popolazioni del Pianeta?
Servono una campagna mirata per accrescere la consapevolezza di questi grandi paradossi mondiali sul cibo e azioni mirate per combattere lo spreco lunga tutta la filiera alimentare, come dettagliato nel Protocollo di Milano. Sarà possibile fornire l’accesso permanente al cibo a tutte le popolazioni solo se le politiche per la lotta contro gli sprechi, la malnutrizione e l’obesità saranno il più possibile integrate in una governance comune e frutto di una stretta collaborazione tra i Paesi.
Non c’è il rischio che, come per il Protocollo di Kyoto del 1997 sull’ambiente, anche quello di Milano sia un manifesto delle buone intenzioni?
Intanto va detto che, nonostante le difficoltà, il Protocollo di Kyoto è riuscito ad aumentare la consapevolezza nel mondo sulle tematiche urgenti da affrontare in campo ambientale, portando di recente ad uno storico accordo tra Cina e Stati Uniti, i due più grandi inquinatori che avevano rifiutato di aderire a Kyoto. Di certo il Protocollo di Milano non sarà una passeggiata. Nella nostra proposta ci sono molti obiettivi ambiziosi per i governi e le aziende. Ci sono interessi molto forti che vengono toccati. Ma noi pensiamo che sia realizzabile. L’Expo 2015 può essere la Kyoto dell’alimentazione e confido nella presa di coscienza da parte di tutti i partecipanti, che non possiamo più permetterci di attendere per rimediare agli squilibri del sistema alimentare.

Il Protocollo intende promuovere anche un’agricoltura sostenibile e punta il dito contro un altro spreco planetario: oggi, un terzo dei terreni è destinato a produrre mangimi e biocarburanti, quindi sottratto alla produzione di cibo. Come riuscire a frenare questo squilibrio/abuso?
Il Protocollo parla chiaro: i firmatari dovranno impegnarsi a limitare la destinazione di terreni alla produzione di biocarburanti e mangimi poichè la sicurezza alimentare e l’accesso al cibo per le persone rappresentano indiscutibilmente gli obiettivi prioritari di questo progetto. Nel caso dei biocarburanti, la Carta prevede che i Paesi aderenti applichino una rigorosa limitazione di queste fonti di energia pari al 5 per cento del proprio mix di energie rinnovabili.
Nell’ambito dell’agricoltura sostenibile, c’è anche il capitolo dell’acqua potabile. Un miliardo di persone sulla Terra ne sono privi, mentre si utilizzano 15mila litri di acqua per produrre un chilo di carne bovina. Che fare? Frenare la produzione della carne?
Non si vuole demonizzare nessun alimento. Si tratta di stimolare comportamenti di consumo consapevoli, facendo capire alle persone il valore nutrizionale dei cibi e il loro impatto sull’ambiente. Con il modello della Doppia Piramide, la Fondazione Barilla evidenzia come la maggior parte degli alimenti per i quali è consigliato un consumo più frequente siano anche quelli che presentano un’impronta idrica minore. Viceversa, la maggior parte degli alimenti per i quali viene raccomandato un consumo meno frequente sono anche quelli che hanno un maggior impatto sull’ambiente anche dal punto di vista idrico. I firmatari della Carta di Milano si impegnano a rendere i sistemi di produzione di cibo più efficienti e sostenibili, promuovendo strumenti che permettano di stimare il valore delle risorse naturali incorporate nei prodotti alimentari.
Sempre nell’ambito della sostenibilità, il Protocollo suggerisce una normativa contro la speculazione finanziaria sugli alimenti, per assicurare la stabilità dei prezzi e dei costi nei mercati. Perché?
Ad oggi non esiste un quadro regolamentare internazionale per questo fenomeno. La normativa è incongruente, a macchia di leopardo. Il Protocollo ambisce a creare le regole del gioco, così da creare le condizioni per una migliore sicurezza alimentare globale. Tra le soluzioni, esorta i firmatari a introdurre dei massimali quanto al numero e alle dimensioni delle offerte che gli speculatori possono emettere e limitare la quantità di materie prime che possono essere oggetto di scambio.
Siccome saranno i governi a implementare gli obiettivi del Protocollo, avete delle strategie per «costringerli» ad agire?
Le centinaia di esperti, organizzazioni ed esponenti della società civile che si sono adoperati per dare vita al Protocollo hanno disegnato una solida governance per l’attuazione degli impegni sanciti dall’accordo. Tuttavia i promotori del Protocollo non hanno alcun potere coercitivo e i governi dovranno assumersi la responsabilità delle proprie azioni – o inerzie. Saranno i cittadini, i consumatori, gli agricoltori e tutti coloro che subiscono i paradossi dell’attuale sistema alimentare globale a giudicare.
www.barillacfn.com