L’aria odora di grasso per armi, i cappotti militari verdi sono appesi alla parete, uno accanto all’altro e i fucili, tutti in fila, sono puntati nella stessa direzione. Il pavimento è così pulito che ci si potrebbe persino mangiare. Gli unici dei quali già da un bel po’ non vi è più traccia sono i proprietari di questi cimeli.
Svelare il segreto era considerato alto tradimento
A un tratto sentiamo improvvisamente avvicinarsi delle voci. Sono i visitatori della fortezza di Crestawald a Sufers (GR). Bunker, caverne, postazioni di tiro e vedette costruiti all’epoca per difendersi dagli attacchi delle forze dell’Asse sono oggi diventati un’attrazione per i turisti e un monumento commemorativo della Seconda guerra mondiale. Thomas Mengelt della vicina Splügen è uno degli addetti incaricati di tenere in ordine il bastione. Proprio in questo momento sta facendo da guida a un gruppo di giovani visitatori.
Con un titanico dispiegamento di forze in termini di denaro e di manodopera, l’esercito costruì cunicoli, passaggi, dormitori, aree comuni e persino una camera mortuaria (mai utilizzata), scavandoli nella roccia. «All’epoca avevamo intuito che nella zona stava accadendo qualcosa», racconta Thomas Mengelt. Ma grazie al cielo nessuna informazione trapelò. Chi avesse svelato il segreto sarebbe stato considerato un traditore, «messo al muro e fucilato in base alla legge marziale», scrive in una lettera Alois Crottogini di Andeer, ex custode della fortezza.
Dure condizioni di vita
Il cuore della fortezza fu edificato in due soli anni, dal 1939 al 1942. «La truppa che l’occupava era composta da un centinaio scarso di uomini; la vita e il lavoro a turni durante il giorno erano a dir poco sfiancanti», precisa Mengelt. I dormitori assomigliavano a un allevamento di massa per animali e Crottogini: «Dormivamo coi vestiti addosso, su materassi di fieno. La mattina c’era la fila per lavarsi e per espletare i propri bisogni fisiologici; davanti a una cassetta di terriccio torboso».
Sempre pronti all’attacco
L’unico diversivo erano gli esercizi a corpo libero che facevamo ogni giorno per mezz’ora davanti alla fortezza. Solo però se lo stato d’allarme lo consentiva. Perché se il nemico sferrava un attacco – l’Italia è per così dire a un tiro di schioppo – Silvia e Lucrezia, due cannoni navali da 10.5 cm che, con una gittata di 23 km avrebbero potuto raggiungere il passo del San Bernardino e dello Spluga, sarebbero dovuti entrare immediatamente in azione. «Sarebbero dovuti, al passato», precisa Mengelt, perché oggi sono fuori uso. Sorte analoga è capitata anche alle numerose pistole, ai fucili, ai pezzi di piccola artiglieria e persino a una mitragliatrice raffreddata ad acqua della Prima Guerra Mondiale, ora tutti completamente dismessi.
Un’esposizione speciale sulla guerra aerea
Un altro clou del museo è l’esposizione speciale dedicata ai caccia-bombardieri americani che precipitarono o tentarono un atterraggio di fortuna nel territorio grigionese. «La maggior parte degli apparecchi proveniva dal Sud Italia o dal Nord Africa ed era diretta in Germania meridionale con la missione di sferrare attacchi sul territorio tedesco», spiega Mengelt. Se venivano colpiti dall’artiglieria tedesca, i piloti cercavano in tutti i modi di raggiungere il territorio neutrale della Svizzera. Alcuni tentarono un atterraggio di emergenza, altri precipitarono. Altri ancora dovettero cambiare rotta a causa del maltempo, senza però poter sganciare le bombe che trasportavano: «Per superare la cresta alpina, gli aerei erano costretti a liberarsi della zavorra e per farlo alcune volte capitava che sganciassero le bombe sopra il nostro territorio». È quel che accadde a Vals, dove vi furono anche vittime, ma anche in altri luoghi della Svizzera come Samedan e Bad Ragaz.

L’esposizione speciale indaga questi aspetti, mostra alcuni reperti e documenti dell’epoca. «La ricostruzione di alcuni dettagli è stata possibile solo attraverso diversi viaggi negli USA», spiega Mengelt. Una delle storie meglio documentate è quella dell’equipaggio del «Ragy Lil», un Boeing B17 abbattuto. L’equipaggio guidato dal capitano Vincent R. McLaughlin dovette lanciarsi con il paracadute sopra i Grigioni. Sei membri toccarono il suolo svizzero e conquistarono la libertà. Due invece finirono nel territorio austriaco occupato dai tedeschi. Di loro si persero le tracce.
Nel 2000 il segreto di stato sulla fortezza, chiusa nel 1995, è stato tolto. Cosa resta oltre al museo? La risposta più eloquente la dà Crottogini: «Crestawald va conservato come monumento commemorativo e monito sull’insensatezza della guerra».